C’era una volta il Proibizionismo
Il Proibizionismo: tra Gangster, speakeasy e distillerie clandestine
Prima di iniziare a leggere sappiate che questa è una storia a lieto fine, come dovrebbe essere ogni buon racconto di Natale.
Per l’happy ending tuttavia bisogna pazientare, è ora di tornare indietro nel tempo, precisamente nel 1919.
C’era una volta l’America del divismo hollywoodiano, dell’età del Jazz, dell’exploit dell’immigrazione dall’Europa, alla ricerca del grande sogno a stelle e strisce.
Alle pendici di questa rarefatta realtà dorata e laccata, negli Stati uniti della prima metà del Novecento si stavano radicando estremismi moralisti e perbenisti. Le radici del proibizionismo erano già ben piantate nel terreno sociale, cresciute da semi culturali e religiosi, piantati dalla frange fondamentaliste della politica e chiesa statunitense.
In pochi anni si erano moltiplicati e le cosiddette società di temperanza, (tra cui Woman’s Christian Temperance Union, l’Anti-Saloon League, l’American Temperance Society) che attribuivano all’uso e vendita di alcol ogni male sulla terra: lo scarso rendimento della popolazione sul posto di lavoro, la criminalità, i maltrattamenti sulle donne all’interno delle mura domestiche…
Il supporto di grandi industriali, tra cui John D. Rockefeller, Henry Ford ed Henry Joy, che aderirono all’Anti Saloon League, apportò notevoli quantità di denaro alla causa, aumentando l’eco del movimento “dry”.
La visibilità e la potenza vennero amplificati dai numeri, sbandierati dai paladini della sobrietà: “I liquori sono responsabili del 25% della miseria, del 37% del depauperamento, del 45,8% della nascita di bambini deformi, del 25% delle malattie mentali, del 19,5% dei divorzi e del 50% dei crimini commessi nel nostro Paese”.
Il De Profundis dell’alcol era stato recitato e alla fine del 1919 fu sancito ufficialmente il suo bando tramite il Volstead Act e il XVIII emendamento degli Stati Uniti, entrato in vigore il 16 gennaio 1920.
Queste le parole del Senatore Andrew Volstead, dichiarate a poche ore dal via dell’emendamento: “I quartieri umili presto apparterranno al passato. Le prigioni e i riformatori resteranno vuoti. Tutti gli uomini cammineranno di nuovo eretti, tutte le donne sorrideranno e tutti i bambini rideranno. Le porte dell’inferno si sono chiuse per sempre”
Le previsioni della boriosa classe politica americana del tempo e delle intransigenti caste religiose si rivelarono sin da subito errate: l’emendamento non bloccò il consumo dell’alcol, ne modificò solamente la fonte di approvvigionamento.
Milioni di bevitori americani vollero continuare a bere, rischiando e pagando in modo considerevole. Il commercio di alcol passò ovviamente in mano alla malavita, che attingeva e contrabbandava bevande alcoliche dal Canada e il Messico, tramite barche e camion bardati con improbabili coperture.
Vennero creati anche numerosi e improvvisati laboratori di distillazione casalinga in cui si realizzavano distillati, soprattutto a base di mais, ribattezzati romanticamente”Moonshine” a causa della loro produzione notturna.
La realtà cittadina conobbe la nascita e il boom degli speak easy. Data l’impossibilità di vendere e somministrare alcolici, molti negozi di normale aspetto (tra cui parrucchieri, alimentari, negozi d’abbigliamento) crearono un alter ego nei propri scantinati: un vero e proprio locale in cui consumare le proprie bramate bevande preferite. Per accedere a questi club dell’alcol bastava comunicare all’ingresso una parola d’ordine. Nel 1920 nella sola New York erano presenti 32.000 Speak-easy,
Ovviamente al rifornimento di questi locali proibiti ci pensavano i veri protagonisti e vincitori di quegli anni: i gangster. La leggenda del crimine Al Capone fece la propria fortuna fornendo illegalmente birra e liquori agli speakeasy di tutti gli Stati Uniti.
Celebre la sua affermazione: “Ho fatto i soldi fornendo un prodotto richiesto dalla gente. Se questo è illegale, anche i miei clienti, centinaia di persone della buona società, infrangono la legge. La sola differenza fra noi è che io vendo e loro comprano. Tutti mi chiamano gangster. Io mi definisco un uomo d’affari”
Nonostante vari e duri tentativi di arginare il problema della criminalità dilagante, il proibizionismo mostrò effetti diametralmente opposti a quelli sperati e agognati al momento del varo della legge.
Violenza, criminalità e isterismo collettivo contraddistinsero gli anni venti in America, facendo tornare sui propri passi gli industriali e personalità facoltose che avevano foraggiato e supportato l’emendamento. Influì in modo considerevole anche la forte pressione fiscale sulle grandi aziende, strettamente in connessione all’interruzione dei proventi dalla tassa sull’importazione di alcol.
I titoli di coda di questa pagina nera della storia americana erano ormai imminenti: sempre più gente scendeva in piazza, chiedendo a gran voce la fine di questa fallimentare parentesi. Il primo passo lo fece l’aspirante presidente Roosevelt che, nella campagna elettorale del 1932, dichiarò di voler abolire il Proibizionismo.
Ed eccoci giunti al finale lieto: alle ore 17.27 di martedì 5 dicembre 1933, fu sancita la fine del XVIII emendamento e del Volstead Act. Gli americani poterono tornare ad acquistare e consumare alcol legalmente. Più di un calice si levò al cielo e quello fu uno dei natali più felici di sempre.
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